mercoledì 23 febbraio 2022

GUERRE PANDEMICHE NUMERO 0.7 - LA VARIABILE FANTASMA

volevamo solo spegnervi la rabbia con gli estintori

le facce stropicciate
le mani disgiunte
le briciole sul tavolo

le facce un po’ stropicciate
le mani più disgiunte
le briciole sempre sul tavolo
il tavolo illuminato
dalla luce del pomeriggio
il resto della casa in penombra
qualcuno ha lasciato
la luce fuori accesa

le facce ancor più stropicciate
le mani chiaramente disgiunte
ancora le briciole sul tavolo
il tavolo illuminato fievolmente
dalla luce del pomeriggio
il resto della casa
come sempre in penombra
qualcuno ha lasciato
di nuovo la luce fuori accesa
dormo sdraiato sul pavimento
quando non mi guardi
mastico tutto il tempo del mondo
per non farlo andare avanti
e saremo pure tutti figli
della stessa rabbia ma
allora com’è che non sento
più nessuno gridare da qui

le facce malamente stropicciate
sempre poche le mani disgiunte
mangio ancora le briciole sul tavolo
il tavolo illuminato dalla luce
feroce del pomeriggio
il resto della casa
in accogliente penombra
qualcuno ha lasciato
la luce fuori accesa per me
dormo di nuovo sdraiato sul pavimento
da quando non mi guardi più
mastico tutto il tempo del mondo
e deglutisco con calma per non
farlo andare avanti
e saremo per sempre tutti figli
della stessa rabbia ma
allora com’è che non ho
ancora sentito nessuno
gridare da qui

ti ricordi i tempi
in cui nel cielo d’Irlanda
volavano le molotov?

mercoledì 16 febbraio 2022

GUERRE PANDEMICHE NUMERO 0.6 - MUTAZIONI E DIFFERENZE TRA IL CONTROLLO CAPITALE E LA MASSA SOCIALE

Ed è così che mi sveglio
ogni fottuta mattina
tra la disperazione e il distacco
coi piedi nel piombo
e la testa conficcata
in un cavalcavia frangibile
d’appalti sabbiosi
e mazzette per guardare dall’altra parte
e ad ogni passo
un usignolo canta
e una betoniera impasta
e declama verdetti
e tua culpa tua culpa
tua magnifica culpa
che cingersi la testa con l’alloro
fa quasi spavento
e sciacquarsi via dai denti
l’ultima sbronza
non da quasi più sollievo
e ad ogni passo
un usignolo canta e quasi
più non lo sento
tanto è il frastuono
delle minchiate
che mi precipitano attorno
tanto è l’ondata di smargiasso
che mi si infrange contro

Ed è così che ad ogni passo che muovo
do il peso dell’ennesimo
fallimento contrattuale
ed ogni volta che solco l’uscio
indosso corazza e mazza chiodata
e dico buongiorno
e ad ogni passo
un usignolo canta
e non lo ascolto
alludendo al fatto
del chi cazzo sei
tu che vieni a cantarmi nelle orecchie
mentre sto rintanato al sicuro
da qualche parte nel mio teschio
evitando il dilagare e l’espansione
di questa nuova specie
che ha innalzato il suo
Io Compro - come prima direttiva
di tutta la propria esistenza
perché tanto ormai tutto
è affanculo già da un po’  
e non ci si può far nulla
e ogni passo è sempre peggio
e ogni istante tutto pare ancora più fragile
e ci sarà pure un usignolo che canta
ma il suo canto è così flebile
che uno non può far altro che pensare
mi sarò sbagliato
io non sento niente.

mercoledì 9 febbraio 2022

GUERRE PANDEMICHE NUMERO 0.5 - GLI OCCHI E GLI SGUARDI SPESSO LE CIRCOSTANZE

gli occhi e gli sguardi
spesso le circostanze
e tutte le mie prime volte di qualsiasi cosa
a volte per tutte le mie prime volte
di qualsiasi cosa
oppure le parole lette nei libri
e i numeri delle pagine degli stessi
i traumi
gli incespichi
le volte che ho provato vergogna
poi quasi sempre i passaggi successivi
l’attitudine interiore per superare le difficoltà
le euforie di quasi ogni mia sbronza
e trovarmi poi spesso
a chiedere un parere oggettivo alle circostanze
ai marciapiedi
tutte le volte che ci ho sputato sopra
i miei occhi
il non avergli mostrato sempre tutto
l’anarchia
per tutte le volte che sono stato indifferente
tutte le storie
a cui non ho dato una fine meno codarda
determinate circostanze
un dinosauro da compagnia
una nave spaziale in giardino
e un credito illimitato
forse in quanto essere umano
non dovrei prendermi troppo sul serio
nei momenti di panico
cercare di assottigliare
questa mia cappa perenne d’incertezza
ingigantire a dismisura ogni momento piacevole
l’intero universo il giovedì mattina
la mancanza di empatia
camminare nell’acqua bassa in mezzo alle alghe
ripetizione
routine
le giornate durano sempre e solo 24 ore
la costante e perpetua semplificazione dei concetti complessi
le discussioni quando sento puzza di qualunquismo
tutte le mie intuizioni
i miei occhi coi tramonti
ogni volta che ne ho la possibilità
le passeggiate di nervosismo
ancora qualche volta
qualche cuore
con poche parole.


betelgeuse unicode.135  
dipinto di notte
e candeggina spinale
vogliamo dati statistici
sulla mortalità da senso di colpa
e ancora una volta il petricore
completare pensieri troppo spessi
troppo spesso penne con l’inchiostro:
finisce sempre prima di farmi finire
di scrivere l’alba.
i pompini fatti bene in mezzo alla città
le curve dei corpi
il sesso e la pioggia contro i vetri
domenica, cinque del pomeriggio
alcune parole e il loro modo
di appiccicarsi
a determinati stati emotivi  
troppo poco spazio
in tutto questo io
ciglia contro chiglia
blues nepente blues
lo sviluppo della specie  
l’uso del trapassato prossimo
narrazione tossica
linguaggio tossico
relazioni tossiche
vietato fumare
attenzione veleno
attenzione caduta massi
attenzione attraversamento
animali selvaggi
è obbligatorio l’uso
delle catene
dal 7/11
al 20/4
ma solo in caso di neve
nelle strade sdrucciolevoli
nelle parole sdrucciole
e se chiudessi tutto
con la parola turacciolo?


che niente è favorevole
e quando mai
ho tenuto qualcosa sigillato
troppo a lungo?
mai mai mai
sempre buttare fuori
verso
esterno preferibilmente notte
ma mi accontento anche di
buttare una noce di burro in padella
e soffermarmi a soffriggerci
un po’ i peperoni
o tutti i miei problemi
e allora stappiamola
questa bottiglia cruda
questa nuova realtà poco frizzante
quest’endorfina a medio-lungo raggio
che non ci sarà momento più adatto
che tanto domani qualcosa di più nuovo
e più inquietante spunterà sotto
questo sempre solito sole
e anche se sarà
solo l’ennesimo tentativo
di attrarre calamite
con residui di ferraglia
troveranno l’ennesimo modo
spettacolare per tenerci  
sempre svegli con la ruggine
tanto ormai di quest’insonnia
abbiamo la mappa precisa
la carta geografica
e ad ogni X segnata
corrisponde di solito
qualcuno ancora sveglio
con cui parlare ancora.

mercoledì 2 febbraio 2022

GUERRE PANDEMICHE NUMERO 0.4 - TUTTO CIÒ DI CUI NON RIESCO ANCORA A PARLARE

È chiaro se dico: onda spezzata contro
frangiflutti rocciosi, frammenti di marea
sparpagliata accarezzano piano sabbia deserta?  

È altrettanto chiaro se indico: saliscendi aritmico,
cuore di gabbiano cosparso di petrolio?

tutto ciò che sta in mezzo
(a queste due frasi)
è tutto ciò
di cui sono riuscito a scrivere, finora

quindi adesso
proverò ad andare oltre:

quando ho spezzato il guscio
dell’individualismo e sono precipitato
dall’albero evolutivo
indossavo una maglietta beige
con scritto neanderthal
in un grassetto di simpatici caratteri rosa

ricordo che ancora prima di allungare
le mie zampine su di una tastiera di computer
compilavo già lunghissime lettere
in pessima grafia e penosi contenuti

arredavo senza nessun gusto estetico
i labirinti sottoscala del mio cranio
dove abitavo allora e dove
lasciavo briciole di qualunquismo
in autogestione sul divano

appeso al ramo di una canzone
un giorno ho visto un tramonto
di buone intenzioni sopra lo scintillio
del mar dei sorpassi
e non sono più tornato indietro

ero io a squarciagola
che emettevo singole lettere
grandi quanto fogli a4

ero io che mangiavo
le strade e davo la mancia
ai barboni per l’ottimo servizio svolto

per un periodo ho fatto come tutti
andavo avanti e indietro
ma con disastrosi risultati

dove gli altri arrivavano al dunque
io facevo a gara
a circumnavigare cubetti di ghiaccio
prima che si sciogliessero

smettevo di pensare e ficcavo la faccia
dentro barili scoperti ricolmi di pessimismo
e calcolavo quanti anni potessi stare in apnea
prima di venir strappato via
da una singola piccola gioia quotidiana

e quando venne il momento del volo  
mi ritrovai ridicolo
con un salvagente al collo
a quindicimila metri
in atterraggio d’emergenza

e quando venne il momento del mare
feci l’unica cosa che l’umanità
ha smesso di fare da tempo
costruii un piccolo amuleto
con ciò che avevo a disposizione
e lo lanciai in dono a Poseidone
nel mezzo di una tempesta

e intanto
cercavo di dipingere di blu
tutte le luci dei semafori
per ingorgare il traffico
o per dirottarlo verso il cielo

e poi anche per me arrivò il momento dell’accelerazione   

del crescente
del respiro rapido
dello sporgermi in avanti
del percepire l’aerodinamicità
e di agevolarla al meglio
del principio del frastuono
degli strapiombi in picchiata
di sparpagliare i piani di tutti quanti
di lasciare indietro i prossimi ultimi
di generare un pensiero al secondo
di compiere due movimenti nel frattempo
di continuare ad aumentare la velocità
in maniera esponenziale
fino ad arrivare a credere
di essere più veloce dell’onda
senza riflettere minimamente
sull’imprevedibilità
del suo vero potenziale

non è tanto ritrovarsi in bilico
è scoprirsi fragili quello che più spaventa

cedere è poco meno di un istante
ciò che ne deriva è solamente conseguenza

l’attrito è piombo e massa e crolla ovunque
ciò che tradisce per lo più è consistenza
 ed esiste nell’adesso
solo questo frammento immobile
questa porzione di sguardo

questa marea di catrame che addensa ogni cosa

e più l’istinto scalcia e spinge
più il dolore fermo si acutizza
e più le grida si susseguono
più emergono grumi di panico
che scombussolano il tutto

quando si racchiuse tutt’intorno
il guscio nero intramontabile
ho pensato di sognare per un momento  
una maglietta beige
con una stampa in simpatici
caratteri rosa.

mercoledì 26 gennaio 2022

GUERRE PANDEMICHE NUMERO 0.3 - RASCHIANDO LA SUPERFICIE

sotto la crosta immerso nel fluido
con tutte le mie antennine imbizzarrite
o caduto a terra fulminato
in preda a tremori d’ansia sconquassanti

DA QUI NON RIESCO AD USCIRE

isola che va riducendosi
nelle correnti d’incertezza
ad alta velocità,
pedone in spartitraffico
circondato da velocità d’acciaio  
ora d’aperitivo.
continuo incessante
via vai d’automezzi
e tramonti riflessi
sulle bottiglie del campari.

continueranno a sorgere
le insegne luminose
calata la sera
dietro l’edificio
della grande banca centrale

DA QUI NON RIESCO A PENSARE

assordato e sballottato
come quella volta
lungo Viale Dante
girandola di vestiti e occhi
e capelli e nuvolette di vapore
condensa dietro sporadici sorrisi
punto
e a capo ancora
svoltare gli angoli
delle notti infinite
nelle diapositive dell’insonnia

con qualcosa di grosso
conficcato tra la gola
e la stanchezza
groviglio sudato nei lenzuoli
nervo isterici, spilli di coltello
dentro al cranio per ogni nuova
immagine che m’attraversa.

fumare in questi casi
a volte aiuta, anche se
la nicotina tendenzialmente
peggiora sempre un po’ le cose

sarebbe meglio uscire
dal concetto che la notte
è fatta per dormire,
mettersi in strada
guidare camminare
e non tornare mai
prima dell’alba.
 

occhi belli sul pianeta comodino
cosa c’è di più intimo
dell’ultimo cassetto?

con questo senso d’inadeguatezza
che mi striscia sopra al petto
e mi recapita falangi dentro gli incubi

che mi fa tremar le mani ancora
al mio risveglio
che mi sballonzola il caffè
e poi si aggrappa alle lancette
di un orologio quasi giusto
quasi fermo

quasi troppo veloce
da costringermi

a fare un conto dei giorni
che sono passati
dalla prima volta che ho scritto
- qualcosa che forse vale l’urgenza  
  di essere messa nero su bianco

e continuo a non saper coltivare
né i pomodori né nient’altro
a non far scorte di cibo
a non avere alternative
in caso di blackout

il tempo intanto avanza
in disastrosa ascesa

pare quiete questa sospensione
che odora di panico e gas di scarico

piccolo lume fiaccola
principio d’incendio
destinato a estinguersi
in questa foresta
di cuori di pietra.

 

per difesa
per offesa
per tutte le ragioni
che sono solamente mie

scendere giù in strada
e sventolare una balena bianca
gridando io mi arrendo,
piantare tende da campeggio
sopra gli alberi del corso
e appenderci cartelli
con la scritta buon riposo,  
provare qualcosa che non
si è mai avuto il coraggio di fare
come abbracciare un ipocondriaco
e sussurrargli tu non sai
se sono contagioso,
portare un fiore
o una canzone
alla bella
che guarda il mare
a fatica arrivare
in quel punto lì preciso
ma con tristezza accorgersi
di non riconoscere più niente
e non c’è più bellezza
prigioniera
o addormentata
e il rimbombo della paura
si è ormai dissolto
in un debole eco
di disillusione

DA QUI RIESCO SOLAMENTE A SPROFONDARE
(in tortuose caverne di stalagmiti alcoliche)

speleologia del disincanto
fino a quanto
più a fondo posso arrivare
con le caviglie immerse
nelle pozze stagnanti
di tutti i miei traguardi
coi pantaloni buoni
tutti zuppi di fredda
e appiccicosa inutilità
e fango d’acredine
che cola ovunque
a seppellire ogni illusione
finora sognata
finora cantata
finora lasciata
scoperta alle intemperie
caravella senza nome
alla deriva perpetua
in mezzo all’oceano
del dimenticabile.




strada che porti al male
lasciami qua

che io non riesco proprio
a chiamare qualcuno -nemico!
e devo averci proprio
delle prove inconfutabili
prima di riversare secchiate
di sensi di colpa contro il prossimo

quindi eccoli belli acuminati
gli spigoli del linguaggio
per una volta senza metafore:

- io non ti odio

e voglio dire chiaramente
non ho nessun motivo
di fare il drago violablu a tre teste
che un bel giorno di punto in bianco
va a sbatacchiare il suo bel culo codato  
sopra la tua pentola magica, chiaro?

quindi,
tutte le divergenze
sono un piatto di spaghetti
con le polpette al sugo
da mangiare assieme
male che vada ci esce un bacio
bene che vada l’accompagniamo col vino.

risolto questo importante traguardo esistenziale
andiamo a sbatacchiare festanti contro tutti i muri
dei centri storici

che c’è ancora vita dentro queste cazzo di vene
che c’è ancora una canzone da sparare a volume
altissimo nel cuore della notte
che dobbiamo prendere altri gavettoni a dicembre
che dobbiamo ancora tuffarci dallo scoglio grande
che c’è tutto un discorso lunghissimo
che ancora non abbiamo affrontato
e richiede parecchie birre e parecchie ore insonni

e quindi smettiamola con queste differenziazioni

con queste quisquilie politiche
con queste chiacchiere teoretiche

qui c’è da rompere del ghiaccio concettuale
e non ci basteranno di certo
tutti i martelli pneumatici
che abbiamo a disposizione.

mercoledì 19 gennaio 2022

GUERRE PANDEMICHE NUMERO 0.2 - CHIUDETE IL PIANETA TERRA!

per fallimento di specie
per troppa cementificazione  
per scarso rendimento
per poca collaborazione
per insufficienza reiterata
per il mercato finanziario globale
per l’inevitabile collasso prossimo venturo
per aver inventato la televisione
per per aver lasciato progredire gli inevitabili indici d’ascolto
per davvero, questa volta

chiudete il pianeta terra e tutto il sistema solare
che ne abbiamo veramente le palle piene

per le manie di controllo capillari
per le compagnie dei telefoni
per gli standard di un certo livello
per le compagnie d’assicurazioni
per le stirpi dei banchieri
per i metronomi elettrici
per gli accordatori tascabili
per la ginnastica artistica come sport olimpico
e non come rito propiziatorio
per aver fatto estinguere i tagliatori di teste
perché l’unica invenzione decente
negli ultimi 200 anni sono i tergicristalli elettrici

chiudete il pianeta terra e tutto il sistema solare
e fatelo alla svelta porca merda

per tutte le cose reiterate all’infinito
per i funzionari scrupolosi
per la sindrome dello sbirro
per quei fottuti e dannati orologi
per i mali necessari
per il bene comune
per ogni singolo grammo di rifiuti indecomponibili
per esasperazione
per altruismo, almeno questa volta
per magnanimitade  

chiudete il pianeta terra e tutto il sistema solare
e poi cancellateli dai database galattici
usateli come monito per il resto dell’universo
affiggete dei cartelli terrificanti
e stampateci sopra le quattro parole
più spaventose dell’eternità
qui non posso entrare.