mercoledì 26 gennaio 2022

GUERRE PANDEMICHE NUMERO 0.3 - RASCHIANDO LA SUPERFICIE

sotto la crosta immerso nel fluido
con tutte le mie antennine imbizzarrite
o caduto a terra fulminato
in preda a tremori d’ansia sconquassanti

DA QUI NON RIESCO AD USCIRE

isola che va riducendosi
nelle correnti d’incertezza
ad alta velocità,
pedone in spartitraffico
circondato da velocità d’acciaio  
ora d’aperitivo.
continuo incessante
via vai d’automezzi
e tramonti riflessi
sulle bottiglie del campari.

continueranno a sorgere
le insegne luminose
calata la sera
dietro l’edificio
della grande banca centrale

DA QUI NON RIESCO A PENSARE

assordato e sballottato
come quella volta
lungo Viale Dante
girandola di vestiti e occhi
e capelli e nuvolette di vapore
condensa dietro sporadici sorrisi
punto
e a capo ancora
svoltare gli angoli
delle notti infinite
nelle diapositive dell’insonnia

con qualcosa di grosso
conficcato tra la gola
e la stanchezza
groviglio sudato nei lenzuoli
nervo isterici, spilli di coltello
dentro al cranio per ogni nuova
immagine che m’attraversa.

fumare in questi casi
a volte aiuta, anche se
la nicotina tendenzialmente
peggiora sempre un po’ le cose

sarebbe meglio uscire
dal concetto che la notte
è fatta per dormire,
mettersi in strada
guidare camminare
e non tornare mai
prima dell’alba.
 

occhi belli sul pianeta comodino
cosa c’è di più intimo
dell’ultimo cassetto?

con questo senso d’inadeguatezza
che mi striscia sopra al petto
e mi recapita falangi dentro gli incubi

che mi fa tremar le mani ancora
al mio risveglio
che mi sballonzola il caffè
e poi si aggrappa alle lancette
di un orologio quasi giusto
quasi fermo

quasi troppo veloce
da costringermi

a fare un conto dei giorni
che sono passati
dalla prima volta che ho scritto
- qualcosa che forse vale l’urgenza  
  di essere messa nero su bianco

e continuo a non saper coltivare
né i pomodori né nient’altro
a non far scorte di cibo
a non avere alternative
in caso di blackout

il tempo intanto avanza
in disastrosa ascesa

pare quiete questa sospensione
che odora di panico e gas di scarico

piccolo lume fiaccola
principio d’incendio
destinato a estinguersi
in questa foresta
di cuori di pietra.

 

per difesa
per offesa
per tutte le ragioni
che sono solamente mie

scendere giù in strada
e sventolare una balena bianca
gridando io mi arrendo,
piantare tende da campeggio
sopra gli alberi del corso
e appenderci cartelli
con la scritta buon riposo,  
provare qualcosa che non
si è mai avuto il coraggio di fare
come abbracciare un ipocondriaco
e sussurrargli tu non sai
se sono contagioso,
portare un fiore
o una canzone
alla bella
che guarda il mare
a fatica arrivare
in quel punto lì preciso
ma con tristezza accorgersi
di non riconoscere più niente
e non c’è più bellezza
prigioniera
o addormentata
e il rimbombo della paura
si è ormai dissolto
in un debole eco
di disillusione

DA QUI RIESCO SOLAMENTE A SPROFONDARE
(in tortuose caverne di stalagmiti alcoliche)

speleologia del disincanto
fino a quanto
più a fondo posso arrivare
con le caviglie immerse
nelle pozze stagnanti
di tutti i miei traguardi
coi pantaloni buoni
tutti zuppi di fredda
e appiccicosa inutilità
e fango d’acredine
che cola ovunque
a seppellire ogni illusione
finora sognata
finora cantata
finora lasciata
scoperta alle intemperie
caravella senza nome
alla deriva perpetua
in mezzo all’oceano
del dimenticabile.




strada che porti al male
lasciami qua

che io non riesco proprio
a chiamare qualcuno -nemico!
e devo averci proprio
delle prove inconfutabili
prima di riversare secchiate
di sensi di colpa contro il prossimo

quindi eccoli belli acuminati
gli spigoli del linguaggio
per una volta senza metafore:

- io non ti odio

e voglio dire chiaramente
non ho nessun motivo
di fare il drago violablu a tre teste
che un bel giorno di punto in bianco
va a sbatacchiare il suo bel culo codato  
sopra la tua pentola magica, chiaro?

quindi,
tutte le divergenze
sono un piatto di spaghetti
con le polpette al sugo
da mangiare assieme
male che vada ci esce un bacio
bene che vada l’accompagniamo col vino.

risolto questo importante traguardo esistenziale
andiamo a sbatacchiare festanti contro tutti i muri
dei centri storici

che c’è ancora vita dentro queste cazzo di vene
che c’è ancora una canzone da sparare a volume
altissimo nel cuore della notte
che dobbiamo prendere altri gavettoni a dicembre
che dobbiamo ancora tuffarci dallo scoglio grande
che c’è tutto un discorso lunghissimo
che ancora non abbiamo affrontato
e richiede parecchie birre e parecchie ore insonni

e quindi smettiamola con queste differenziazioni

con queste quisquilie politiche
con queste chiacchiere teoretiche

qui c’è da rompere del ghiaccio concettuale
e non ci basteranno di certo
tutti i martelli pneumatici
che abbiamo a disposizione.

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